La mia full immersion al VI° meeting dei docenti virtuali a Roma

Nella prestigiosa ed insolita cornice della sala della comunicazione del Miur  si è tenuta lo scorso 13 aprile l’apertura del VI meeting per docenti virtuali e insegnanti 2.0 che l’anno scorso è stato svolto a Lucca; l’evento poi ha proseguito i suoi lavori nelle aule messe a disposizione dall’istituto professionale De Amicis a Testaccio.

Il meeting, quest’anno, era dedicato al tema “Formazione tra pari-un’alleanza formativa tra scuole e reti” ed è stato trasmesso in diretta streaming sul sito del Ministero e su Rai Scuola.  Essendosi fatto promotore dell’iniziativa il Ministero dell’Istruzione, l’evento era presente anche sulla piattaforma Sofia come corso valido per la formazione obbligatoria dei docenti.

PLENARIA

Un po’ di emozione e un vago senso di orgoglio segnava la voce di Jole Caponata e Giuseppe Corsaro, i leader delle due organizzazioni ispiratrici dell’evento: non a caso i due hanno posto l’accento sul come essere ospitati in una sede così istituzionale significa naturalmente un riconoscimento e una validazione dell’attività delle rispettive Community, assolute pioniere, in Italia, per l’innovazione digitale a scuola.

Il meeting si è aperto con l’intervento del professor Gino Roncaglia, docente di informatica umanistica presso l’Università della Tuscia sul tema “Biblioteche scolastiche-luoghi per la ricomposizione della frammentazione. Roncaglia contrariamente alla tesi molto diffusa che  vi sia una granularità nativa nel digitale, sostiene che non è così: il digitale è giovane, anche la scrittura si è strutturata nel tempo: si comincia con testi brevi commerciali, giuridici, poi si arriva alla complessità: l’approccio al digitale é stato quello di cacciatori-raccoglitori poi gradualmente si è passati al 2.0 l’età in cui siamo noi stessi a fare autoproduzione, ma in modo artigianale (Social, sitii personali): non siamo ancora arrivati alle “cattedrali” alla complessità, salvo casi come Wikipedia alcuni videogioco. Gli alunni oggi hanno difficoltà nelle competenze complesse perché sono figli di questo contesto ma c’è un bisogno formativo di complessità Le biblioteche scolastiche, secondo lo studioso, possono avere un ruolo chiave perché si prestano alla necessaria destrutturazione degli spazi nelle scuole. Ovviamente ciò è possibile se si pensa alle biblioteche non come stanze dei libri ma spazio aperto per la lettura, l’informazione, la documentazione. Una biblioteca come Terzo Spazio: non classe, non aula disciplinare (passo avanti, questa, rispetto alla classe ma ancora rigida) e luogo di innovazione trasversale dove ci possono essere gruppi aperti di studenti. L’idea del libro aumentato è arrivata subito nell’era digitale ma ha dei limiti. Non si presta molto alla scrittura collaborativa a più mani, é qualcosa di autoriale e ha una fruizione individuale. Altro e più facilmente praticabile è la lettura aumentata: avviene semplicemente, ad opera del lettore, si presta all’attività collaborativa. Roncaglia è uno dei promotori del progetto “The living book” che propone la lettura aumentata e non vuole limitarsi alla logica delle recensioni che è quella esclusiva delle piattaforme operanti in questo settore. A questo proposito Roncaglia segnala Living library.eu la piattaforma che sta sperimentando lo staff del progetto, una piattaforma aperta a tutti che punta a lavorare con i gruppi di lettura.

Seconda relatrice è la dottoressa Alessandra Rucci, dirigente scolastico di un istituto superiore di Ancona facente parte delle Avanguardie Educative che è riuscita a rilanciare  a tutti una bella iniezione di entusiasmo con il suo intervento sulle “Comunità professionali per l’innovazione” . Dopo aver ribadito quanto sia fondamentale il sostegno della dirigenza per gli innovatori della scuola (animatori digitali e docenti)  racconta i vissuti di solitudine, di isolamento che le sono stati riferiti da parte dei 100 animatori digitali formati dalla stessa Dirigente e finisce per riconoscere come a questi innovatori spetti un ruolo da leader da assolvere spesso proprio nonostante la dirigenza. Fare gruppo è l’arma, fare comunità. Ma i docenti senza leadership possono avere una visione? La risposta è sì perché c’è il piano Nazionale Scuola digitale che comunque ha insistito molto sulle metodologie, sul contesto, perché l’innovazione si può iniettare. Il PNSD è così ben fatto, dice la Rucci, perché è partito dal basso, l’hanno scritto docenti/dirigenti che ci credevano. La comunità non cambia tutta insieme: ci sono scettici, tardivi, prudenti, osservatori. Su cui investire le energie? Sugli osservatori, ma sapendo creare un luogo dove non ci sono domande stupide/risposte giuste, dove le persone percepiscono di avere la libertà di correre dei rischi. L’innovatore non deve sembrare inarrivabile, perché si tenderà ad allontanarsi da lui. Di fronte alle resistenze, alle perplessità bisogna rendere innovazione visibile e trasparente organizzando occasioni per rendere pubblici i risultati. La ricetta? Guardare oltre, osare, generare motivazione. Anche se oltre alle resistenze ci sono gli ostacoli burocratici di cui peraltro i dirigenti hanno il carico maggiore: (normativa sulla sicurezza, edilizia scolastica, autonomia inapplicata), per essere contagiosi non bisogna scoraggiarsi.

Alberto Ardizzone, dirigente scolastico, è stato qualche anno fa promotore del progetto “Scuole aperte sul web” che puntava a creare siti internet che fossero accessibili e inclusivi (pensare al fruitore del sito prima del contenuto) e adesso impegnato in un progetto sulla gentilezza nella scuola e nel web ha dissertato su questo tema partendo dal presupposto che essere gentili è diverso da fare i gentili (non è la cortesia, è un bisogno umano fondamentale) e ricordando le tappe con cui si è giunti a questa condivisa sensibilità sulla necessità della gentilezza.In Giappone il movimento Mondiale della gentilezza esiste dal 1988 mentre è datato 1997 il World Kindness Movement con l’adesione di 7 stati e di cui dal 2000 fa parte anche l’Italia. Nel 2011 la settimana della gentilezza è stata introdotta in una scuola di Carpi e da lì in molte altre. L’idea di fondo è che anche il web deve essere gentile da cui il proliferare di iniziative come “Parole non ostili”  alla nascita del “Sillabo di Educazione Civica digitale”, dalle indicazioni sul riuso delle risorse Open Source, a quelle sulle email gentili (tra le quali viene segnalato il blog di Luisa Carrada e il suo “L’amorevole gentilezza del email

Il professor Paolo Masini, direttore della fondazione UIBI di Lucca, è intervenuto sull’edilizia scolastica con il suo ”Trasformare la scuola-innovare il modello educativo attraverso una visione strategica degli ambienti di apprendimento”. Parte dalla considerazione che la scuola è stata sempre trasmissiva, oggi bisogna passare dal concetto di aula a quello di ambiente di apprendimento. In secondo luogo ricorda come la tecnologia, come già la scrittura non nascono per scopi culturali ma commerciali: all’inizio la scuola adatta ciò che già esiste ed è nato per altri scopi: ad esempio comincia ad usare il PowerPoint che tutto sommato poteva andare bene oggi ci sono app pensate  appositamente per la scuola ma è l’idea didattica non lo strumento l’aspetto su cui concentrarsi, ed è in un contesto di mutato paradigma che bisogna cambiare anche gli spazi. Diana Laurillard, citata dal relatore pensa a “L’insegnamento come Scienza della progettazione”. Masini conclude consigliando di fare riferimento al testo a cura del Indire “Dall’aula all’ambiente di apprendimento”, l’unico libro in italiano che si occupa in modo esaustivo dell’argomento

Maria Chiara Pettenati dirigente di ricerca presso Indire ha fatto il punto sul progetto “Mentep- il bilancio di competenze digitali degli come punto di partenza per un cammino di innovazione sostenibile” Mentep é un progetto finalizzato a fornire uno strumento di autovalutazione delle competenze pedagogiche digitali dei docenti. lndire è stato partner del progetto nato come progetto europeo di European Schoolnet e Tet Sat è lo strumento che è stato elaborato dal team che se ne è occupato e che sarà online a partire dal prossimo 8 maggio. Ovviamente il team di ricerca ha studiato i vari frame work esistenti e per il suo tool ha deciso di prendere in considerazione quattro aree di competenza: Pedagogia digitale, Uso e produzione di contenuti digitali, Collaborazione e comunicazione, Cittadinanza digitale il tool.  Si tratta di una piattaforma sulla quale ci si può accreditare e che si concretizza in 30 domande: per ognuna ci sono 5 possibili dimensioni che vanno dalla grande competenza alla minima. Alla fine del test viene restituito un feedback che stabilisce la propria competenza (esordiente, principiante, competente, avanzato, esperto) Il feedback può essere declinato sia ad un livello complessivo sia per ognuna delle quattro macro aree considerate. Mentep ha fatto delle ricerche con gli insegnanti coinvolti nel progetto monitorando le competenze prima e dopo la somministrazione del questionario e si è visto ad esempio che fare il Tet Sat aumenta la consapevolezza e quindi anche la capacità critica sulle proprie competenze ed eventuali carenze in ambito digitale. Chi vuole fare il test deve creare un account per entrare nel questionario a questo indirizzo alla fine del quale ottiene immediatamente il feedback e la individuazione del proprio livello di competenza (da 1 a 5). I risultati del questionario possono essere scaricati in pdf.

Ha chiuso i lavori Simona Montesarchio, direttore generale per interventi in materia di edilizia scolastica. Reduce da una iniziativa di formazione a Catania la dottoressa ha affermato che dopo l’esperienza di Futura, sulla scia della grande richiesta di formazione avvertita lì a Bologna, il Miur ha elaborato un piano di iniziative di formazione che si stanno organizzando in tutte le regioni, e di cui l’evento a Catania è un esempio: eventi locali sul PNSD che hanno come formatori personale della scuola innovatore come quelli di Docenti virtuali e Insegnanti 2.0. Segnala inoltre ed è da tener d’occhio anche il recente bando per il concorso fatto per premiare le migliori pratiche innovative a scuola.

GLI WORKSHOP

Le attività laboratoriali in parallelo, moltissime, e dai titoli assai accattivanti, si sono svolte tra il pomeriggio di venerdì fino alla domenica mattina prevalentemente a cura di docenti delle stesse Community e vertevano fondamentalmente su due ambiti: la condivisione di buone pratiche innovative e la presentazione di app didattiche digitali. Segnalo qui alcune esperienze alle quali ho partecipato e dalle quali, credo, si possano avere spunti interessanti.

Per quanto riguarda le buone pratiche segnalo innanzitutto il contributo di  Maria Grazia Di Noi con il suo “Come sviluppare coding su 3 livelli (dalla secondaria alla primaria)”  fondato sulle attività tra pari. Si tratta di progetto ludico-educativo si che si pone tre obiettivi: il primo è formare bambini di scuola primaria e ragazzi di scuola secondaria di I e II grado al pensiero computazionale mediante lezioni interattive di Coding orientate anche all’educazione dell’uso della tecnologia; secondo obiettivo è avviare studenti del terzo anno delle secondarie superiori al ruolo di Tutor di altri studenti in modalità “peer to peer” nell’ottica di implementare un percorso di formazione trasversale sui tre ordinamenti scolastici spendibile anche nella Alternanza Scuola Lavoro. La collega, insegnante di informatica, riferisce la sua esperienza in questo progetto in via di realizzazione in cui gli studenti della terza superiore vengono formati da lei e svolgono lezioni in terza media; gli studenti della secondaria di terzo media a loro volta, a cascata, svolgono la funzione di tutor su alunni della primaria utilizzando il programma Scracth. Il progetto, coinvolgendo diverse componenti (consigli di classe, Team per l’innovazione, genitori) punta anche a far conoscere ai docenti l’efficacia dei nuovi strumenti tecnologici per riconvertire il proprio metodo didattico nella prospettiva di trasformare la scuola in un ambiente più stimolante e innovativo.

Come cambiano gli scenari di apprendimento nella didattica attiva con gli strumenti digitali? Elena Balestrazzi, insegnante di Inglese alle superiori riferisce entusiasticamente la sua esperienza di “Collaborative learning in 10 steps” e cioè di un progetto di blended learning realizzato nella sua scuola: dal libro di testo ai progetti multimediali nella scuola secondaria di II grado, ma che naturalmente può essere fatta anche nella scuola media  La collega racconta che ha fatto l’esperienza di lavoro collaborativo dopo aver seguito un Erasmus + attraverso un corso erogato da European Schoolnet: come molti studi dimostrano che la metodologia trasmissiva non funziona molto, oggi: di più l’imparare facendo. Del resto la tassonomia di Bloom è cambiata: al primo posto non c’è più la valutazione ma la creazione. Il lavoro collaborativo a scuola è necessario perché oggi le aziende cercano persone che sappiano stare in un team, che sappiano fare lavoro di squadra. E attività come queste attivano le 6Cs cioè le skills del 21° secolo (Collaboration, Communication, Creation, Connection, Critical thinking, Cultural context). Scenari di apprendimento attivo usati nel progetto sono il cosiddetto “Voice and Choice”: dar voce (gli studenti presentano i lavori) e possibilità di scelta (sono loro a scegliere l’argomento) che significa anche un’assunzione di responsabilità; gli studenti svolgono questa attività collaborativa facendo delle presentazioni che poi diventano materiale di studio e creano dei questionari con Kahoot che vengono somministrati in classe. Un’esperienza che non è molto diverso ad esempio dalla mia sperimentazione in Geografia!

Per quanto riguarda la segnalazione di nuove app e piattaforme, lasciando ad un momento successivo ulteriori contributi più approfonditi, mi limito qui a indicare ai colleghi due attività interessanti da provare subito a scuola, in realtà aumentata o al contrario in assenza (quasi) di tecnologia.

METAVERSE: applicazione gratuita per vivere esperienze didattiche di realtà aumentata. Il confine fra scuola e mondo dei videogame si sta assottigliando e la progettazione di esperienze didattiche in realtà aumentata è ormai alla portata di tutti.

“Immagina un luogo in cui ciascuno dei tuoi allievi possa incontrare personaggi misteriosi e imparare in modo coinvolgente affrontando nuove sfide e ostacoli. Un mondo fatto di bit al quale chiunque possa accedere attraverso lo schermo del proprio smartphone. Una dimensione in cui niente è come sembra. Questo mondo, il Metaverso, offre un nuovo modo di vedere e vivere le cose.”

L’obiettivo di questo workshop, curato da Sergio Ligato, Antonio Cutillo, Vincenzo Governale, era quello di presentare le potenzialità in ambito didattico offerte da questo incredibile strumento, la cui app può essere installata sia in ambienti Android che Ios. Dopo averci illustrato alcuni esempi di racconti interattivi in realtà aumentata fruibili grazie a un qualsiasi smartphone/tablet e le principali funzioni dell’ambiente di authoring per la creazione di nuove esperienze, noi partecipanti abbiamo avuto la possibilità di fruire di alcune esperienze disponibili nella repository del sito web di progetto.

PLICKERS: è un software gratuito per la realizzazione di test, quiz e sondaggi. La sua particolarità è quella di raccogliere i dati in tempo reale attraverso la lettura di codici, con il solo uso del tablet o dello smartphone del docente e senza che gli alunni utilizzino strumenti tecnologici personali. Si integra molto bene con tutte le modalità di insegnamento, rende le lezioni più coinvolgenti e interattive e ed è adatto sia ai grandi che ai più piccoli, ma sicuramente ideale per la scuola primaria, in contesti in cui gli allievi sono sprovvisti di cellulare o comunque si è deliberato di non far usare il dispositivo a scuola. Giovanna Giannone Rendo (di cui segnalo il blog) è l’insegnante di scuola primaria testimonial di questa applicazione (“Senza l’uso di device, crea con PLICKERS il tuo questionario”) che ha mostrato ai partecipanti i semplici passaggi con cui svolgere l’attività coinvolgendoli anche in una simpatica esercitazione pratica: l’insegnante si loga al programma sul proprio pc eventualmente utilizzando un account Google e scarica sul proprio cellulare o tablet la relativa applicazione che le servirà per raccogliere/scannerizzare i codici, crea una classe, crea il questionario (a risposte multiple o vero/falso) e lo associa alla classe dall’ambiente mobile da cui poi lancerà l’attività. Gli alunni vengono forniti di speciali “card” che vengono scaricate dall’applicazione e stampate (magari plastificandole come ha fatto la collega) ai quattro versi dei quali è stampigliata una lettera da A a D che corrisponde alle risposte possibili; ad ogni domanda della docente visualizzata sulla lim con le risposte gli alunni dovranno esibire la carta rivolta in alto verso il lato della lettera che ritengono sia la risposta giusta. La docente girando il proprio dispositivo scannerizza le risposte e appare immediatamente sulla lim e sul dispositivo mobile lo stato e l’esattezza delle risposte. Chi fosse interessato a questa attività, nel nostro istituto può chiedere info alla collega Cristina Fugalli che già lo utilizza.

3 risposte a "La mia full immersion al VI° meeting dei docenti virtuali a Roma"

  1. Marina 21 aprile 2018 / 13:59

    Brava Cristina, invidio la tua tenacia e perseveranza….non è da tutti. Per noi analfabeti della tecnologia….è quasi mera utopia ma, tu non mollare!!!

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  2. Cristina 24 aprile 2018 / 22:56

    Innanzi tutto ti ringrazio per avermi citata! Sono piccole conferme ai piccoli tentavi di sperimentazione, che rendono comunque più accattivante l’apprendimento e onestamente anche l’insegnamento. Mi intriga molto Metaverso e anche l’idea dell’utilizzo di Scratch verticalmente sarebbe una bella proposta nell’ambito dei progetti di continuità. Daje tutta Cris!

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